Si fa presto a dire “ortaggio strano di colore verde pieno di bitorzoli”, richiede già maggiore impegno abituarsi a dire “Ampalaya”. Fino a scoprire che nel mondo anglosassone, il cui impero risulta crollato da decenni, ma conserva ancora la sua supremazia linguistica nel campo scientifico, è abbastanza un semplice bitter gourd, letteralmente zucca amara. È stato sufficiente inserire queste due parole nella striscia bianca del totisapiente Google che davanti a me, esemplare dell’ultimo modello lanciato sul mercato dall’Università Italiana, si è dispiegato un intero mondo gravitante attorno a questo bizzarro cetriolo bitorzoluto.
Tra tutti i risultati della ricerca – 2.700.000 in 0,39 secondi… – quello che mi ha cambiato la vita è stato www.bitter-gourd.org, un progetto dell’AVRDC, centro di ricerca con svariate sedi in diversi continenti meglio conosciuto come World Vegetable Centre. Quando ci si accorge di non saper dove sbattere la testa, scrivere un’e-mail ad un centro di rilevanza internazionale recante il testo “Buongiorno, sono un ricercatore dell’Università di Milano che si occupa di Momordica charantia, trovo il vostro progetto estremamente interessante, come posso avere maggiori informazioni?” non solo può rivelarsi l’ultima spiaggia, ma anche la scelta migliore.
Infatti mi risponde Jen Wen Luoh, ricercatrice che lavora a Tainan, Taiwan, che mi mette in contatto con Narinder Dhillon, che si trova a Bangkok, Tailandia. A questi posso rivolgere la domanda esistenziale che incombe con la sua mole di incertezza su Nutrire la Città che Cambia da alcuni mesi: come posso fare a recuperare i semi?
Questo non è un problema, mi assicura il professor Dhillon, ti possiamo spedire le nostre linee genetiche così che possiate avviare la sperimentazione e condividere con noi le osservazioni! Si è trattato di un risultato importante per il nostro progetto, anche se da quel momento è cominciato un viaggio lunghissimo, che dopo mesi e mesi di corrispondenza telematica, scambio di moduli da compilare per avere i permessi di importazione, quarantene, corrieri presi dal panico che hanno fatto sì che il pacchetto viaggiasse due o tre volte avanti e indietro tra Bangkok e Milano, e profonda pena per le sorti dei nostri semi, si è concluso con il loro arrivo sani e salvi alla Facoltà di Agraria in Città Studi.
Abbiamo ricevuto quattro pacchetti contenenti ciascuno 100 semi di quattro diverse linee genetiche, differenziate per vari caratteri come il sapore del frutto, più o meno amaro, dimensioni, produttività, resistenza ai parassiti, e altre ancora. Ogni linea genetica sta per essere consegnata ad una diversa azienda, per mantenere la purezza del seme che sarà prodotto nell’anno in corso e riutilizzato la prossima estate. L’Ampalaya infatti è caratterizzata da impollinazione di tipo “entomofilo”, ovvero mediata da insetti. Nella zona d’origine di questo ortaggio, il Sudest Asiatico, gli insetti che tipicamente si dedicano a questa attività sono le api, grandi protagoniste anche nelle campagne lombarde dove producono mieli d’eccellenza. Gli insetti trasportano il polline di pianta in pianta, determinando così l’incrocio tra i diversi individui. Per questo motivo si è scelto di mantenere le diverse varietà separate, collocandole in luoghi geograficamente lontani, dislocati nelle campagne attorno a Milano.
Una nuova fase di Nutrire la Città che Cambia può quindi partire, grazie in particolare alla gentile collaborazione dei nostri colleghi del Sudest Asiatico, che presentando il progetto alla conferenza BiG 2014 ad Hyderabad (India) lo scorso marzo, ho avuto il piacere di conoscere personalmente. Un doveroso sincero ringraziamento dunque a Jen Wen Luoh, minuta ragazza cinese, ineccepibile organizzatrice e gran cerimoniera dell’evento, che ci ha guidato nei giorni trascorsi a Hyderabad correndo di qua e di là gridando “Bitter gourd! Come here, bitter gourd!”, e a Narinder Dhillon, alto e canuto, che nel momento delle presentazioni mi ha detto “Davide! Quello delle innumerevoli e-mail!”.