Da oggi per i prossimi tre mesi scriverò da un lontano Paese dell’Africa meridionale, il Mozambico. È uno stato enorme, una lingua di terra infinita che si snoda lungo la costa dell’Oceano Indiano, che confina a Sud con il Sud Africa e a Nord con la Tanzania, guardando in faccia il Madagascar.
Da questa parte del continente africano le piogge sono abbondanti, anche se concentrate tra dicembre e marzo, nell’estate australe. Il territorio si presenta così ricoperto da boschi e foreste – e percorso da grandi branchi di animali, prima che la caccia e la distruzione del paesaggio li riducessero drasticamente – diventando più arido verso Sud, dove sorge la capitale Maputo.
Questo grande, e bellissimo paese, presenta oggi un alto tasso di sviluppo, grazie alle sue immense ricchezze naturali e agli investimenti stranieri, appare però ancora frastornato dai traumi di lunghi decenni di guerre fratricide, e dolorante per le tremende ferite riportate. Il Mozambico è stato una colonia portoghese fino al 1975, al termine di una lunga guerra di indipendenza. Da qui al 1992 fu invece straziato da un conflitto civile tra due contrapposte fazioni ideologiche, appoggiate da una complessa trama di interessi stranieri: Frelimo e Renamo. Mi trovo qui per lavorare ad un progetto di cooperazione internazionale, con base nella città di Pemba, capoluogo della provincia di Cabo Delgado. Questa città si estende sulla punta di una penisola, che protegge dall’Oceano Indiano uno dei porti naturali più grandi al mondo, ed è il punto di partenza per visitare il Parco Nazionale delle Isole Quirimbas.
Anche Pemba è una città che cambia. Negli ultimi anni ha attirato numerosi investimenti sia interni, sia da parte di compagnie straniere, volti a sfruttare le risorse ambientali di questa regione, dai giacimenti di gas naturale alle infinte spiagge bianche. Pemba si sta rapidamente trasformando da piccolo scalo commerciale a principale snodo del Mozambico settentrionale, è come assistere alla nascita di una metropoli.
L’espansione sfrenata porta però al verificarsi di alcuni squilibri, soprattutto nel campo della sicurezza alimentare. La popolazione urbana ha raggiunto in breve le duecentomila unità, per non contare il grande aumento di presenze straniere. I dintorni agricoli della città sono molto fertili, ma i sistemi produttivi e di approvvigionamento della città di prodotti freschi sono sottosviluppati.
Come per ogni città che cambia, anche a Pemba il progetto non poteva non cominciare con un’indagine svolta nei mercati locali. Il più importante della città si chiama Mercado das batatas, e vi si può trovare ogni genere di consumo, in particolare cipolle, aglio, riso, fagioli e patata dolce, polli, stoffe, televisori e cellulari.
Un po’ più lontano vi è il mercato ortofrutticolo, con file di banchi dove ciascun venditore espone la propria merce, coperti da un tetto di cemento. È l’occasione per scattare alcune fotografie, per raccogliere alcuni dati sui prodotti venduti, stando però attenti a chiedere sempre il permesso. Alcuni chiedono in cambio dei soldi, altri rispondono in modo minaccioso di andare via, altri invece accettano di buon grado.
Frutta e verdura venduti al mercato di Pemba arrivano dalla vicina provincia di Nampula, quando non addirittura dal lontano Sud Africa. I costi elevati dovuti alla scarsa organizzazione della filiera, oltre che al lungo trasporto, limitano fortemente l’accesso della popolazione ai prodotti ortofrutticoli freschi, indebolendo la sicurezza alimentare degli abitanti di Pemba e delle campagne circostanti.