Cia Agricoltori Italiani Lombardia, a seguito di alcune errate informazioni circolate attraverso testate giornalistiche, secondo cui la posizione degli agricoltori contro la carne coltivata sarebbe puramente di personale interesse economico, indicando poi la zootecnia come principale causa dell’inquinamento, specialmente in Lombardia, ha deciso di portare all’attenzione di tutti alcune informazioni, spesso taciute, circa il reale impatto, ambientale e sanitario, della carne coltivata.
A tal proposito, la dottoressa Lorena Miele, specialista in genetica medica, con esperienza in citogenetica e biologia molecolare, nonché vicepresidente regionale di Cia Lombardia e allevatrice di bovini, spiega alcune procedure necessarie alla produzione di carne coltivata e l’impatto ambientale che da esse derivano.
“Partiamo da un concetto piuttosto basilare e oggettivo: produrre carne coltivata è un processo industriale e come tale richiede energia,” spiega la vicepresidente, “i bioreattori altro non sono che grossi incubatori che mantengono costanti la temperatura a 37° e i livelli di CO2 al 5%, altrimenti le cellule non potrebbero vivere.
Per fare questo ovviamente consumano corrente: maggiore è la produzione di carne coltivata, maggiore è la corrente necessaria. E come sappiamo, non tutta la corrente è prodotta da fonti rinnovabili, diversamente dall’energia usata per produrre carne vera da allevamento, che è il cibo fornito agli animali, ossia il foraggio cresciuto grazie alla fotosintesi, che utilizza l’energia solare, l’unica ad impatto ambientale zero. ”
Al consumo di energia, si aggiunge poi il delicato tema delle sostanze necessarie alla produzione della carne coltivata. Continua la dottoressa Miele: “Va ricordato che le cellule vivono in un terreno di coltura liquido con una composizione chimica ben precisa, un prodotto dell’industria chimica, quindi non naturale. Una volta che le cellule sono pronte, vanno pulite dal terreno di crescita e trattate in modo tale che non marciscano prima di raggiungere le nostre tavole. Ma quali conservanti verranno aggiunti?”.
Se la questione dei componenti chimici utili alla produzione della carne coltivata lascia qualche perplessità, va aggiunto il trattamento degli scarti, ovvero un ulteriore problema di cui nessuno parla, ma che è un fattore molto grave secondo la vicepresidente di Cia Lombardia: “Il metabolismo delle cellule consuma i nutrienti e riversa nel medium di coltura le sostanze chimiche di scarto, per questo il terreno di coltura deve essere spesso cambiato e quindi smaltito, ciò significa ettolitri ed ettolitri di rifiuto speciale da smaltire. Sì, rifiuto speciale, perché è un prodotto chimico, biologicamente contaminato e con aggiunta di antibiotici, che non può essere immesso nell’ambiente in quanto trattasi di inquinante chimico e biologico. Gli antibiotici sono indispensabili per impedire la crescita di batteri nel terreno di coltura, che provocherebbero la morte delle cellule.”
Chiariti questi punti, si passa ovviamente alla salubrità del prodotto, vero enigma della carne coltivata. Spiega ancora la dottoressa Miele: “ E’ improprio persino definirla “carne” perché in questo caso si parla di vero e proprio prodotto artificiale creato in laboratorio, che si pretende di immettere sulle nostre tavole senza prima aver fatto la necessaria sperimentazione per essere sicuri che non nuoccia alla salute!”
“Sono cellule prelevate da un animale, che è un organismo complesso, nel quale è attiva una miriade di meccanismi biochimici di controllo per regolare le caratteristiche di ogni sua componente, anche dei muscoli. Mediante biopsia le cellule vengono prelevate e fatte riprodurre in coltura per un numero finito di cicli, perché poi invecchiano e non si riproducono più e quindi bisogna ripetere la biopsia. Quanto deve essere grande la biopsia per produrre tante cellule? Qui non interessa a nessuno il benessere animale?”.
“Queste cellule vengono fatte riprodurre in coltura dove vengono meno i meccanismi di regolazione presenti nell’animale, ma come sono le proteine di queste cellule? Ricordiamoci che la malattia della mucca pazza è data da una proteina aberrante!”.
Dettagli da non trascurare quando si parla di salute, tantopiù se ad un prezzo ad oggi non certo conveniente visto i costi che la carne coltivata avrà una volta in commercio, sicuramente più alto della carne di produzione agricola ma senza la certezza di consumare prodotti sani e di qualità. Infine, una considerazione importante sul tema ambientale.
“Se in futuro si vorranno eliminare le produzioni animali perderemo letame, che è ciò che permette di mantenere sostanza organica nei prati e nei campi, garantendo benessere all’ambiente in modo naturale, e soprattutto verranno meno alimenti salubri ed importanti per la salute delle persone, quali latte e carne, a favore di prodotti artificiali, il cui effetto sulla salute non è ancora noto” conclude la dottoressa Lorena Miele.