Bisognerebbe riandare al pensiero di David Ricardo, il padre dell’economia classica e alla sua teoria del valore, quando scrive in Principi dell’Economia Politica (Londra 1817): “Vi sono alcune merci, il cui valore è determinato soltanto dalla loro scarsità. Nessun lavoro può aumentare la quantità di simili oggetti, e perciò il loro valore non può diminuire in seguito ad un aumento dell’offerta. Alcune statue e pitture rare, vini di qualità speciale, che possono esser fatti soltanto con uve raccolte in un determinato terreno, la cui estensione sia assai limitata, sono tutti di questo tipo” per comprendere quanto l’economia si sia occupata del vino. Eppure, nonostante sia uno dei motori della nostra agricoltura con un fatturato di quasi 15 miliardi, 5 di export e oltre 1,2 milioni di addetti, non esiste un manuale di “Economia del Vino”. O meglio: non esisteva. A questo vuoto didattico-scientifico ha posto rimedio con un lavoro durato anni Stefano Castriota, uno dei giovani economisti di punta della nostra accademia che ha lavorato per il Fondo Monetario, per l’Istat, per le università di Perugia e di Trento, dopo essersi formato all’università di Tor Vergata e alla Bocconi.
Castriota ha appena dato alle stampe per Egea il manuale “Economia del Vino” che è stato presentato oggi in anteprima a Roma nell’Auditorium “Giuseppe Avolio” della Cia-Confederazione italiana agricoltori. E’ stato proprio il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino a introdurre il convegno di presentazione del volume, a cui hanno partecipato – coordinati dal giornalista Gianluca Atzeni di Tre Bicchieri Gambero Rosso – l’autore del volume. Ospite anche il viceministro all’Economia Enrico Morando. E ancora: Cristiano Fini (Gruppo Italiano Vini), Pina Terenzi (vicepresidente Donne in Campo) e Leonardo Becchetti (Università di Roma Tor Vergata.
Come scrive nella prefazione al volume il professor Orley Ashenfelter della Princeton University, “Castriota ha fornito al lettore una visione d’insieme dell’Economia del Vino, ma con uno sguardo attento al tema delle politiche pubbliche, preparando il terreno per la discussione mediante un’ampia trattazione dell’evoluzione del consumo e della produzione di vino in Italia e nel mondo”. In effetti lo sguardo di Castriota è globale, ma tiene conto delle diverse specificità. L’autore stesso afferma: “Svariate ragioni mi hanno spinto a scrivere un manuale di economia del vino, oltre ai miei interessi personali. Innanzitutto l’inesistenza ad oggi, sia in lingua italiana che in inglese, di un manuale strutturato di cui possano beneficiare studenti, ricercatori e addetti ai lavori. In secondo luogo, il crescente interesse che questa materia sta riscuotendo nei paesi produttori di vino e non solo. L’intento è, dunque, quello di fornire un utile strumento di studio per gli studenti e di consultazione per i ricercatori e gli addetti ai lavori, evitando eccessivi tecnicismi, ma assicurando al contempo rigore nella rassegna della letteratura e nell’utilizzo dei dati. Il libro è diviso in due parti: nella prima con strumenti tipici dell’economia politica vengono mostrati i meccanismi di funzionamento del mercato del vino, mentre nella seconda con un approccio tipico della politica economica ci si concentra sull’intervento delle autorità pubbliche nel regolamentare il mercato e correggerne i fallimenti. L’auspicio è quello di contribuire alla diffusione e allo studio dell’economia del vino, nonché di stimolare governo, associazioni di categoria e imprese a intraprendere azioni concrete ed efficaci volte a favorire la crescita del comparto e della cultura enologica nel nostro paese”.
In soldoni Castriota mette sotto la lente della ricerca come funziona il mercato del vino, come funzionano le aziende, ma anche quali politiche fiscali e quali azioni di governo -compreso quello europeo- influiscono sul vino. E poi affronta un argomento che ci riporta a Ricardo. Tutti i vini sono uguali? No. Ci sono i vini del nuovo mondo tecnicamente perfetti, ma omologati e ci sono i nostri vini. La differenza è tra vini omogenei rispetto ai quali i produttori possono solo farli bene, ma non ne controllano il prezzo che dipende strettamente dalla domanda e i vini distinguibili (i nostri: quelli che nascono dai vitigni autoctoni, quelli che hanno una Storia) dei quali i produttori poiché operano in un “mercato imperfetto” hanno il potere di determinarne il valore.
“Questa è la ragione che ci ha spinto a presentare il lavoro prezioso di Stefano Castriota -ha affermato Scanavino-. Da sempre la Cia, che è massimamente attenta alla ricerca in tutti i campi e che fa dell’innovazione nella tradizione uno dei suoi punti di forza, si batte per il riconoscimento del valore delle produzioni agricole che nascono dalla biodiversità, che sono espressione della sapienza agricola. Negli ultimi anni si è fatta avanti la tendenza di considerare il vino non come un prodotto agricolo, bensì come un bene di lusso. Non è così: il vino è la massima espressione della sapienza agricola, il vino italiano costituisce un marcatore dei territori ma contemporaneamente è valorizzato dai territori. Ben venga dunque una ricerca economica che si applica a spiegare il valore del vino e che aiuta i produttori a meglio stare nel mercato globale con le loro specificità”.
Per sottolineare l’aderenza di Cia al lavoro di Castriota, ma anche per marcare l’impegno che la Confederazione e le sue imprese associate mettono nel perseguire la massima qualità al termine del dibattito su “Economia del Vino”, alcune delle migliori cantine italiane -tra le quali Tenute del Cerro e Vini Giovanni Terenzi- si sono cimentate, a margine della presentazione del libro, in degustazioni guidate delle loro migliori etichette per dimostrare anche nell’approccio sensoriale il vero valore del vino.