Era una sera calda e buia a Hyderabad, nell’India centrale. Il programma del convegno prevedeva una cena di benvenuto in prossimità di una pagoda situata sulle sponde del Mary Cummings lake, uno specchio d’acqua artificiale nascosto dalla notte. Il convegno in questione era il BiG 2014, la conferenza internazionale sull’Ampalaya, cucurbitacea tropicale dalle straordinarie virtù ,tra le quali l’abbassamento della glicemia nei soggetti diabetici, ed un leggendario sapore amaro. Il campus dove tale evento si stava svolgendo era l’ICRISAT, istituto internazionale specializzato nello studio delle problematiche connesse ai sistemi agricoli nelle zone semi-aride.
Mi accomodai ad un tavolo, insieme a due simpatiche coppie di australiani con cui avevo scambiato alcune parole durante l’aperitivo servito sotto la pagoda. A metà della cena si unì a noi una loro connazionale, Joanna, una responsabile del centro di ricerca che ci ospitava. La nuova arrivata restò particolarmente colpita dal fatto che io fossi il solo italiano partecipante al convegno, così cominciò a ripetere “Non sei l’unico italiano qui, c’è anche Salvatore! Devi conoscere Salvatore, domani mattina ti metterò immediatamente in contatto con Salvatore.”. L’indomani a colazione, sorseggiando il primo chai della giornata, ricevetti una telefonata in cui mi si chiedeva di fare un salto al bar posto al piano superiore dell’edificio. Un signore dai capelli grigi e media statura mi venne incontro, salutandomi in italiano, e io non potei trattenermi dal dirgli “Ma lei è Salvatore Ceccarelli!”.
Insomma, non si trattava di un Salvatore qualsiasi, ma di un noto scienziato che avevo già avuto modo di incontrare a Milano nell’ambito di diversi seminari e convegni. Lo conoscevo in particolare per uno dei suoi percorsi di studio più celebri e innovativi, ovvero la produzione agraria ed il miglioramento genetico delle colture con il metodo partecipativo.
I centri di ricerca sia pubblici che privati, durante il processo di selezione, produzione e commercializzazione di nuove varietà di piante agrarie, come cereali e legumi, non tengono in considerazione i punti di vista di coloro che ne sono i diretti utilizzatori, gli agricoltori. Nei Paesi in Via di Sviluppo, in particolare, dove le condizioni ambientali sono spesso difficili per via della siccità, della povertà di nutrienti e della salinità dei suoli, i saperi contadini potrebbero rivelarsi assai utili.
I centri di selezione convenzionali vendono varietà vegetali che sono molto produttive, ma hanno bisogno di una gran quantità di input – fertilizzanti, antiparassitari, lavorazioni del terreno, irrigazione, etc… – per esprimere in pieno le loro potenzialità. Le colture selezionate localmente dai contadini, o landraces, sono invece più rustiche, e ben adattate alle condizioni ambientali nelle quali sono state selezionate nel corso dei secoli, anche le più ostili. Nei Paesi del Sud del mondo, inoltre, i coltivatori spesso non possono permettersi di ricorrere a varietà convenzionali, che sono più costose e richiedono maggiori investimenti, per via della povertà diffusa.
Il metodo partecipativo applicato alla produzione agraria e al miglioramento genetico delle piante coltivate, non solo prende in considerazione i saperi contadini, li adotta come punto di partenza. Gli agricoltori diventano partner a tutti gli effetti del processo di miglioramento, e la loro opinione conta tanto quanto quella dei selezionatori professionali, o breeders. È fondamentale garantire ai contadini la libertà di portare avanti le proprie consuetudini produttive conservando i saperi locali. Non è da dimenticare che da quando è nata l’agricoltura, più di 10.000 anni fa, sono stati proprio loro a selezionare i fenotipi più adatti all’ambiente circostante, e a diversificare così i genotipi. Non va inoltre trascurato che l’immensa biodiversità che possiamo osservare oggi, non si sarebbe potuta creare senza il lavoro delle donne.
Partecipazione, sarà la parola chiave anche per la produzione di ortaggi esotici del progetto Nutrire la Città che Cambia nell’anno che è appena cominciato. Il processo di pianificazione ispirato al metodo partecipativo è già cominciato. Ognuna delle aziende aderenti al progetto è stata coinvolta in questa fase, ponendo loro tre domande iniziali. La prima riguarda la quantità di terra che sono disposte ad impiegare per la sperimentazione sulle nuove colture, in modo da avere una prima idea sull’impegno a cui ognuno può far fronte. In secondo luogo, è stato proposto agli agricoltori un elenco con tutte le specie orticole esotiche incluse nel progetto, in modo che se ne potessero scegliere tre o quattro considerando molti fattori: le preferenze soggettive, il microclima locale, l’esperienza dei diversi conduttori, il prodotto che essi intendono offrire ai loro acquirenti… Terzo, è stata chiesta la disponibilità a svolgere la sperimentazione provando tre diversi livelli di concimazione: concimazione completa, metà della dose prevista, nessun apporto. Non tutti gli agricoltori se la sono sentita di assumersi questo impegno, ma non per questo i dati che potranno fornire, e gli ortaggi che raccoglieranno, saranno meno preziosi e di alta qualità.