Il patronato di Cia-Agricoltori Italiani stima la fattibilità della propria proposta di innalzamento degli assegni minimi: il saldo del sistema previdenziale ha un attivo di oltre 23 mld l’anno
Roma, 16 ott – Le pensioni degli agricoltori non sono dignitose. Si tratta di lavoratori che hanno contribuito in maniera decisiva a sostenere il Paese, producendo cibo di qualità e curando il territorio. Dopo 40 anni di lavoro, la maggior parte di loro prende un assegno al minimo, circa 513 euro al mese complessivi. Con il sistema contributivo, sono destinate a essere ancora più basse del minimo, per cui bisogna garantire una pensione base a cui aggiungere l’importo maturato con i contributi versati. Chiediamo al Governo che nella prossima legge di Bilancio le pensioni basse siano riparametrate, rispettando le indicazioni della Carta sociale europea, che stabilisce in 650 euro mensili l’importo da corrispondere per garantire una vecchiaia decorosa a tutti i cittadini italiani. Questa la proposta che Inac-Cia porta avanti da tempo, ora iscritta in un Ordine del giorno posto all’attenzione dell’esecutivo.
Oggi a Roma, infatti, alla presenza dei Sottosegretari alle Politiche agricole e al Lavoro, Giuseppe L’Abbate e Francesca Puglisi, il patronato Inac-Cia ha promosso una giornata di confronto, dal titolo “Abbiamo Diritti”, per individuare misure idonee a mantenere il sistema previdenziale in equilibrio, eliminando ingiustizie sociali come quelle che riguardano gli ex agricoltori.
“In Italia, quando si parla di pensioni e sistema previdenziale, c’è la tendenza a interpretare i numeri in modo parziale, soggettivo e strumentale -ha detto il presidente di Inac-Cia Antonio Barile nella sua relazione-. Gli ultimi dati disponibili parlano di un saldo attivo di oltre 23 miliardi di euro l’anno, con un’incidenza sul Pil del 9,29%. Analizzando bene i dati, nelle more, abbiamo a disposizione, inoltre, circa 500 milioni di euro derivanti dalla riduzione del costo per l’integrazione al minimo. Quindi, le coperture per alzare le pensioni basse ci sono. Come si può pensare che si possa vivere con 276 euro al mese in Italia? Perché molti agricoltori in prima fascia, con l’attuale meccanismo del contributivo, maturano importi di questo tipo. Diverso sarebbe -ha spiegato Barile- se a un’importo base di 650 euro per tutti, si sommasse la parte che negli anni il lavoratore ha costruito versando i contributi. A quel punto, i coltivatori potrebbero diporre di una pensione complessiva compresa in una forbice che va da 926 a 1.200 euro mensili”.
Dai lavori è emerso come il sistema previdenziale per l’agricoltura, con gli assegni attuali quasi inconsistenti, sia considerato un fattore determinate per il mancato ricambio generazionale nei campi, fermo da anni ben al di sotto del 10%.
“Per rendere il nostro settore attrattivo per i giovani -ha evidenziato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani Dino Scanavino– serve anche garantire loro una prospettiva di lungo respiro. Sapere che oggi chi ha fatto l’agricoltore vive, da anziano, in condizioni di difficoltà è un pessimo spot per il comparto, altamente disincentivante per nuovi ingressi. E’ necessario elaborare proposte normative in materia pensionistica che tengano conto della sostenibilità -ha aggiunto Scanavino- ma che partano dallo studio analitico dei dati reali, anche andando a esplorare come viene trattata la questione in altri Paesi, in particolare europei”.
Oltre ai vertici delle organizzazioni coinvolte nel meeting, giunti in rappresentanza di tutte le regioni italiane, sono interventi ai lavori: Alessandro Del Carlo, presidente Anp-Cia; Stefano Francia, presidente Agia-Cia; Rossana Zambelli, direttore nazionale Cia; Laura Ravagnan, direttore generale Inac-Cia; Maurizio Scaccia, direttore Caf-Cia.