Questo esotico accostamento l’abbiamo sicuramente già sentito nominare da qualche parte. Io l’ho sentito per la prima volta nella canzone Princesa, che apre l’album Anime Salve di Fabrizio De André, in un’immagine che non ha mai smesso di affascinarmi.
Anche la Tapioca è un ortaggio migrante, o meglio è un prodotto derivato da una pianta esotica estremamente diffusa in tutti i tropici. Si tratta della Manioca, che prende il nome di Mandioca in portoghese, di Cassava in inglese, e di Manihot esculenta nel mondo scientifico. Somiglia a un tubero, dal momento che ricorda una patata, anche se più lunga e stretta, in realtà si tratta solo di una radice ingrossata che fornisce grandi quantità di amido alle popolazioni di America Latina, Africa e Asia Meridionale. Da questo importante, quanto semplice, prodotto della terra si possono ottenere numerosi derivati, tra i quali si trova appunto la Tapioca, una farina di colore bianco che viene utilizzata come ingrediente in cucina.
La Manioca è una pianta originaria dell’America del Sud, il suo nome latino Manihot, deriva infatti dalle lingue Tupi e Guaraní. A diffonderne la coltivazione in tutti i continenti dal clima tropicale furono dapprima i navigatori e commercianti portoghesi, a partire dal loro arrivo sulle coste del Brasile dove fecero la sua conoscenza. I portoghesi introdussero la Manioca presso i loro insediamenti lungo la costa del Golfo di Guinea, vicino alla foce del fiume Congo, e da qui la coltura si diffuse in tutta l’Africa Sub-Sahariana.
La Manioca si adattò talmente bene alle condizioni ambientali africane, e alle abitudini alimentari della sua popolazione, da diventare un cibo di base irrinunciabile. La pianta riesce a produrre anche in condizioni pedo-climatiche solitamente poco favorevoli all’agricoltura, e si conserva per molto tempo, permettendo così di accumulare scorte alimentari per i periodi di siccità. I colonizzatori europei si prodigarono per favorire la diffusione della Manioca in Africa, avendo osservato che una fonte di energia economica come questa consentiva agli indigeni di migliorare la loro alimentazione, e così la loro salute, rendendoli più resistenti ai viaggi trans-oceanici, e adatti ad essere venduti come schiavi.
La Manioca è ancora oggi una delle piante più coltivate e consumate presso le famiglie contadine – gli smallholder, in gergo tecnico – di tutta l’Africa… come mai non è stata inserita tra gli Ortaggi Migranti di Nutrire la Città che Cambia? La Manioca come tutte le piante tropicali necessita di alte temperature, ma a differenza di altre presenta un ciclo colturale molto lungo, tra i sei mesi e un anno, incompatibile con la durata dell’estate in Lombardia. Sulla Manioca grava anche la fama di “ortaggio dei poveri”, per questo non attira l’interesse di governi, investitori e scienziati. Il suo consumo è infatti destinato a calare inesorabilmente all’aumentare del reddito pro-capite.